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Le arti belle in Toscana da mezzo secolo XVIII ai dì nostri

254901
Saltini, Guglielmo Enrico 32 occorrenze
  • 1862
  • Le Monnier
  • Firenze
  • critica d'arte
  • UNIFI
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Le arti belle in Toscana da mezzo secolo XVIII ai dì nostri

, non saranno più tema controverso e combattuto; ma saldi dogmi di quella nuova civiltà, che sorta col Cristianesimo quando si diradarono le tenebre del

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eretto nel 1812 sulla piazza di San Francesco di quella istessa città. — Giovanni Salucci architetto fiorentino (n. primo di luglio 1769, m. 18

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per la squisita eleganza delle parti onorano la memoria del valent’uomo. Eresse anche in quella città un ponte presso il forte di Porta Murata, di

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, oggi propositura del suburbio senese (1828), e la facciata della chiesa dell’educatorio di Santa Maria Maddalena in quella istessa città sono sue

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febbraio 4844) ebbe anch’esso ingegno volto a ben fare, come lo prova la costruzione del pubblico macello fatta in patria nel 4835, e quella del

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, si rifugiò in Francia, e lo pose ai primi studj nel collegio di Sorreze. Di là il giovinetto passava alla Scuola Normale di Parigi, e poi in quella

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del fosso coperto di Livorno, detto il Voltone, e la piazza che vi soprasta, ricorda le opere più belle che mai si facessero di quella specie. Condusse

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oggi compiuta, se le sventure a cui andò soggetta quella terra non lo avessero fin qui impedito. Le opere poi di erudizione da lui date a stampa sono la

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dato anche alla scultura un valente maestro, chiamando da Roma a bella posta INNOCENZIO SPINAZZI, uno dei primarj che allora fiorissero in quella

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noi ricordarne brevemente le più famose statue. E prima quella voluttuosa Baccante, la quale menò tanto grido di sè, e che sebbene respiri tutta

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mezzo alla nuova fabbrica della Canonica. Erano Arnolfo di Cambio e Filippo di ser Brunellesco, i famosi architetti di quella sacra mole fiorentina che

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. 1781, m. 1854), seppe dell’arte tanto da non essere dimenticato, quando si allogarono le statue degli illustri toscani, e nel 1845 fece quella di

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anche sua lodata opera il Dante seduto, che sta nelle sale dell’Accademia Labronica in quella città, ma non può dirsi lo stesso di quello che fece

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tempo, a noi basterà ricordare una delle opere sue tenute allora più belle, quella macchinosa cupola della basilica di San Lorenzo, certi dell’aver

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A Pisa fiorì in questi tempi Giovan Battista Tempesti, che nel dipingere a fresco non mancò di merito. La sala nell’Arcivescovado di quella città

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, specialmente nella reai Cappella, e quelli della SS. Annunziata e di Sant’Ambrogio; ed a porgere più adeguata idea di quella sua strana fantasia, basti dire che

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, passava nel 1792 in Roma a completarvi la sua istruzione d’artista, collo studio assiduo del bello, e anche per quella nobile gara d’emulazione, che suole

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quadri che fece poi pei marchesi Capponi, di cui fu particolare creato, esprimendo nel primo, Piero gran cittadino di quella illustre casata, che

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Edipo dall’albero ove era stato appeso (1815), e una Vergine orante col putto (1816). Diversi freschi fece poi in quella città e in Toscana; ricordo

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’arte, è GIUSEPPE BEZZUOLI di Firenze (n. 28 novembre 1784, m. 13 settembre 1855). Svincolatosi presto da quella durezza accademica acquistata nella

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tela, perchè spendiamo altre parole a descriverla. Nel 1837 la morte di Filippo Strozzi e quella di Lorenzino de’ Medici, che fece pel cavalier Puccini

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’Apelle, ai Pitti, la caduta dei gravi nella Tribuna di Galileo, quella stupenda Follia che guida il carro d’Amore in una sala del palazzo Gerini in

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abbracciare il divin figlio che le corre incontro (1843), e la tela per la chiesa della Madonna delle Carceri in Prato, ove è proprio di Paradiso quella gloria

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faceva nutrire di sè le più alte speranze. Ma egli, che già forse nutriva il mal germe di quella tremenda infermità, che lo trasse innanzi tempo al

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del Benvenuti, si fece presto una maniera propria e secondo quella operò. Il primo suo quadro giovanile, l’Erminia che scuopre il bel sembiante ai

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abilità e diligenza. Tra le vedute d’architettura voglionsi ricordare il sepolcro di Cecilia Metella, e la facciata del Panteon, e tra le tavole quella

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, rame compiuto nel suo ottantesimo anno, attese all’arte indefesso, bastandogli sempre quella sua acutissima vista e la fermezza della mano. Discorrere

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, quella detta del Sacco, da Andrea Del Sarto (1795), e la Cena di Nostro Signore effigiata da Leonardo da Vinci nel refettorio dei Domenicani a Milano

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, incominciato nel 1772. La facciata di questo convento è d’ordine dorico e dì buono stile, ma non così quella dell’oratorio, che per simmetria gli convenne fare

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finitissime. Ma se le cose accennate fin qui dicono il Perfetti incisore valoroso, non minor lode gli merita l'essersi posto a capo di quella bella schiera d

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gli altri rami per l’opera del San Marco, il Paradiso dell’Angelico, con tanto gusto e sapere, che assai bene rende immagine di quella divina

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nel 1776 dette il disegno per la sala degli stucchi nel palazzo dei Pitti; ed ivi anche incominciò quella nuova parte di fabbrica che risponde sul

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